LE RAGIONI PER VOTARE SÌ

PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA

tratto da www.rifondazione.it

 

1. Che cos’è l’elettrosmog?

Il principio di cautela o precauzione (ormai acquisito a livello comunitario come principio ispiratore delle politiche di prevenzione) afferma "occorre usare con prudenza e cautela tutte quelle tecnologie che non risultano essere sicuramente innocue, superando il criterio corrente per il quale va ammesso l’utilizzo di processi e prodotti finché non sia dimostrata la loro nocività." Quindi, una moderna legislazione di tutela sanitaria e ambientale inverte l’onere della prova: per intervenire con norme di protezione non occorre dimostrare che un prodotto o una tecnologia è sicuramente dannosa, occorre dimostrare, al contrario, che è sicuramente innocua. A questa impostazione, in linea con la più avveduta ricerca in campo scientifico, sia sperimentale che epidemiologica, si oppone la difesa degli interessi delle imprese (le società elettriche e delle telecomunicazioni) e delle lobbies che ne difendono gli interessi.

Il problema nasce per i cosiddetti effetti a lungo termine, derivanti dalle esposizioni prolungate anche a basse dosi (per esempio una abitazione che è situata vicino a un elettrodotto o un impianto di radiotrasmissione (ripetitori, radar ecc.). Tali effetti non sono definiti "deterministici" (ovvero non c’è un rapporto automatico di causa ed effetto per ogni soggetto esposto) ma sono "stocastici", cioè rilevati dalle indagini epidemiologiche sulle popolazioni esposte (tali indagini dimostrano un aumento della probabilità di ammalarsi o contrarre disturbi, anche per esposizioni a dosi centinaia di volte inferiori a quelle stabilite per proteggersi dagli effetti immediati). Da qui, la distinzione tra "effetti acuti", ovvero limiti da non superare per qualsiasi tipo di esposizione anche brevissima ed effetti a lungo termine, ovvero limiti da non superare per esposizioni prolungate, al fine di prevenire indesiderati effetti a lungo termine.

Per le basse frequenze (gli elettrodotti), che sono tecnologie usate da più anni, l’indagine epidemiologica ha dimostrato un aumento dell’incidenza di patologie anche gravi quali la leucemia infantile. Tali effetti sono evidenziati dalle indagini più recenti anche dalle più recenti tecnologie legate alle alte frequenze (ripetitori, trasmettitori, ecc.). Per usare un esempio: nel caso dell’amianto, le prime indagini, pubblicate sulle riviste scientifiche, che dimostravano una correlazione tra l’uso di quel materiale e l’insorgenza di gravi malattie, quale il tumore, risalgono agli anni 30 ma l’intervento legislativo è arrivato solo dopo decenni, con tutte le conseguenze gravissime sulla salute dei lavoratori e dei cittadini. 2. La situazione legislativa sull’elettrosmog

La legge quadro (n. 36 del febbraio 2001), prevedeva che entro 60 giorni dalla sua pubblicazione dovessero essere varati i decreti attuativi della medesima, in particolare in relazione all’individuazione dei limiti di esposizione (limiti da non superare in qualsiasi condizione espositiva, ovvero limiti per i cosiddetti effetti acuti), dei valori di attenzione (ovvero limiti da non superare ovunque la popolazione risiede, ovvero limiti per la protezione dai possibili effetti a lungo termine) e degli obiettivi di qualità (valori per la minimizzazione delle esposizioni, quindi limiti per i nuovi impianti e per il risanamento degli impianti dove si superano i valori di attenzione). Tali decreti dovevano, quindi, essere emanati entro aprile del 2001. I testi erano già predisposti e prevedevano per gli elettrodotti il valore di attenzione di 0,5 micro tesla e l’obiettivo di qualità di 0,2 micro tesla; per le alte frequenze si prevedeva l’obiettivo di qualità di 3 volt metro. Questi decreti non sono stati varati dal governo di centro sinistra malgrado, come detto, i testi avessero già avuto un via libera da parte delle commissioni parlamentari e il governo si fosse impegnato formalmente, in sede di approvazione finale della legge, a rispettare rigorosamente i tempi previsti.

I poteri, in particolare degli enti locali, di varare regolamenti per la minimizzazione delle esposizioni delle popolazioni si fondano su una serie di riferimenti giuridici.

Qui di seguito si citano quelli più specifici:

il comma 1 dell’articolo 4 del decreto 381 del 1998, afferma che gli impianti vanno progettati e realizzati tendendo a minimizzare l’esposizione della popolazione; le linee guida applicative del medesimo decreto 381 del 1998 chiariscono come il concetto di obiettivo di qualità (collegato evidentemente a quello di "minimizzazione" delle esposizioni) implica la possibilità dell’assunzione di misure di protezione ulteriori, anche se sono già rispettati i limiti di esposizione e i valori di cautela;

l’articolo 2 bis della legge 189/97, stabilisce che le infrastrutture che generano campi elettromagnetici debbono essere sottoposte ad opportune procedure di valutazione di impatto ambientale (sentenze del Consiglio di Stato precisano come tali procedure debbano essere regolate dalle regioni);  

il comma 6 dell’articolo 8 della legge quadro (legge n. 36 del 2001), afferma esplicitamente come i comuni possano dotarsi di regolamenti per il corretto inserimento urbanistico degli impianti e per la minimizzazione delle esposizioni delle popolazioni;

il decreto legge 5 gennaio 2001, n 5 ("Disposizioni urgenti per il differimento dei termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi), ha confermato pienamente i poteri degli enti locali in materia urbanistica ed edilizia per quanto riguarda l’installazione degli impianti di telefonia mobile anche ai fini della tutela della salute.

Questi riferimenti normativi, quindi, rappresentano la base giuridica che fonda la possibilità per i comuni di dotarsi di regolamenti che migliorino le condizioni espositive delle popolazioni residenti. Si tratta, in pratica, di riferirsi al concetto di minimizzazione delle esposizioni che non è, evidentemente, un termine letterario, bensì un concetto presente nella legge e che è responsabilità delle amministrazioni locali applicare concretamente.

3 Il quesito referendario, le ragioni per votare SÌ

Con il referendum si propone l’abrogazione di una norma vecchissima, un regio decreto che prevede l’esproprio per il passaggio degli elettrodotti. E’ anche attraverso questa norma che a molti cittadini, associazioni e comitati è impedito di opporsi al passaggio di elettrodotti che corrono troppo vicini alle abitazioni o che deturpano il paesaggio. Ma c’è, ovviamente, un problema di fondo che viene sollevato. Il problema è il chi decide. C’è una linea che afferma che l’impresa è il "dominus" cui tutto va subordinato, anche il diritto alla salute. Coerentemente a questa impostazione, il governo ha varato il decreto legislativo di cui sopra e che, con il pretesto di accelerare la realizzazione delle infrastrutture, in realtà ha l’obiettivo di togliere ogni possibilità di intervento alle comunità locali, intese sia nel senso di cittadini organizzati in comitati e associazioni sia nel senso di poteri locali. Secondo questa impostazione, l’impresa decide secondo i suoi interessi, fa i progetti, li presenta e il comune ci mette sopra il timbro (anzi, neanche è più necessario quello, perché introduce, in relazione alle richieste delle imprese, il criterio del silenzio assenso).

Attraverso l’abrogazione di quella norma sulla servitù di elettrodotto (regio decreto 11 dicembre del 1933, n. 1775), da un lato si da uno strumento concreto di battaglia ai comitati che si battono contro la costruzione di nuove linee che non rispettino i criteri di tutela ambientale o che passano vicino alle abitazioni, dall’altro si da uno scossone contro la pretesa del governo di affossare la normativa di protezione contro l’elettrosmog e di impedire alle Regioni e ai comuni di tutelare con propri regolamenti l’ambiente e la salute.

4. Alcune domande sull’elettrosmog e il referendum

Se gli scienziati sono divisi e non esiste certezza sui danni dell’elettrosmog, non sarebbe meglio aspettare prima di intervenire con norme di protezione? Non è vero che la comunità scientifica è divisa. Il punto non è che esiste una controversia sui danni prodotti dall’elettrosmog. Ciò che ancora non è definito è il nesso di causalità. Si può citare, per riferirsi a documenti ufficiali degli Istituti pubblici, questo brano tratto da un documento dell’Istituto Superiore di Sanità: "Gli studi epidemiologici suggeriscono un’associazione tra l’esposizione residenziale a campi magnetici a 50 Hz, generalmente valutata in modo indiretto, e la leucemia infantile. Il nesso di causalità, tuttavia, non è dimostrata." Dire che i risultati di un’indagine non siano ancora conclusivi non vuol dire che siano contrastanti. La correlazione tra l’esposizione e il danno alla salute è dimostrata, quello che va ancora approfondito è il nesso biologico di causa ed effetto. La necessità di agire è ammessa dallo stesso Istituto Superiore di Sanità che scrive: "L’esistenza di margini di incertezza non viene negata, ma se ne tiene conto esplicitando il fatto che nella definizione degli standard si sta adottando un atteggiamento di tipo cautelativo. In campo ambientale infatti sono la regola e non l’eccezione le situazioni nelle quali i dati scientifici sono insufficienti per sostenere una conclusione, e nonostante questo una decisione va presa."

L’elettrosmog è conseguenza dello sviluppo tecnologico da tutti desiderato. Perché lamentarsi di conseguenze negative estremamente limitate a fronte di progressi tecnologici nelle telecomunicazioni così prodigiosi?

Non si tratta di impedire lo sviluppo delle tecnologie. Il punto del confronto non è quello. Il nodo dello scontro è impedire il "far west" delle installazioni, ovvero porre delle regole e delle garanzie che tutelino gli interessi collettivi, primi fra tutti la salute e l’ambiente. D’altra parte, anche per altri fattori inquinanti si agisce nella direzione di porre dei vincoli e, perfino, delle limitazioni. Il fumo è causa di tumori ma non tutti coloro che fumano sicuramente si ammalano. Tuttavia sempre più rigidamente si approvano restrizioni (per esempio il divieto di fumare in luoghi pubblici) per salvaguardare la salute collettiva. Analogamente, per il traffico automobilistico, verificato che provoca inquinamento, si pongono dei limiti, superati i quali, vi è il blocco del traffico e, nelle città, le amministrazioni possono stabilire delle restrizioni alla libera circolazione delle autovetture. Per l’elettrosmog , deve avvenire lo stesso. Ferma restando la copertura della rete (e, ormai, il servizio di radiocomunicazione, sia televisivo che della telefonia cellulare, copre l’intero territorio), l’intensificazione del traffico, che è ciò che interessa oggi alle imprese, deve essere sottoposta alle condizioni, stabilite dalle normative nazionali, regionali e dai regolamenti comunali, che la pubblica amministrazione decide per garantire

la salvaguardia della salute e dei beni ambientali e paesaggistici.

Perché un referendum sull’elettrosmog, che è un tema così controverso? Non era meglio affrontare altri temi di salvaguardia sanitaria e ambientale? L’elettrosmog non è una questione marginale. Interessa tutto il Paese e permette di intervenire su un nodo nevralgico dello sviluppo e dell’uso delle tecnologie. Non è neanche vero che nel resto dell’Europa il problema non sia stato affrontato. In alcuni Paesi europei ( per esempio quelli del nord Europa, la Polonia, la Svizzera) esistono normative sull’elettrosmog che pongono limiti restrittivi e, anche negli altri Paesi non si assiste alla "deregulation" italiana. Negli stessi USA, in un territorio enormemente più esteso dell’Italia, vi è un numero di antenne inferiore che nel nostro Paese. Sul tema dell’elettrosmog, inoltre, si è sviluppato un movimento, assai composito, di associazioni e comitati che si battono nei territori per contrastare l’installazione di infrastrutture che destano preoccupazione e per richiedere il risanamento delle situazioni più compromesse. Si tratta di un movimento spesso con scarsi collegamenti e a volte confuso, ma che parte dal basso ed esprime l’esigenza di regole che contrastino il liberismo selvaggio.

Il movimento referendario aveva proposto tre referendum: sull’elettrosmog, contro gli inceneritori di rifiuti e contro i pesticidi negli alimenti. Certamente, i tre referendum, assieme, avrebbero meglio rappresentato l’esigenza di una nuova politica contro l’inquinamento che avvelena l’ambiente e addirittura i cibi, prodotto dalla sciagurata politica neoliberista che il governo delle destre applica inesorabilmente. Malgrado tutti i referendum avessero raccolto il numero delle firme necessarie, la sentenza della Corte Costituzionale ha inspiegabilmente e ingiustamente bocciato i due quesiti sugli inceneritori e i pesticidi. Dovremo, quindi, anche attraverso il solo referendum rimasto, quello sull’elettrosmog, avere la capacità di sollevare, oltre la questione specifica, il tema più generale di una svolta nelle politiche di salvaguardia ambientale e di tutela sanitaria dagli inquinamenti prodotti dalle politiche di liberalizzazione e privatizzazione.

5. Il quesito referendario propone l’abrogazione delle norme che permettono l’esproprio delle proprietà per il passaggio degli elettrodotti. Non è un referendum a difesa della proprietà privata? Non c’era da proporre un altro quesito in materia di elettrosmog più chiaro?

Rispondiamo subito alla seconda questione che viene posta. Il problema è che nel caso dell’inquinamento elettromagnetico vi è una carenza legislativa e che il governo delle destre, come detto prima, vuole affossare la legge esistente con l’emanazione di decreti che mettono limiti farsa e vuole eliminare i poteri delle regioni e dei comuni. Attraverso la questione della servitù di elettrodotto, quindi, si affronta il problema dell’elettrosmog, ovvero la necessità o meno di una normativa di tutela. Il nostro impegno dovrà consistere nel far comprendere il nesso tra la vittoria del referendum e la sconfitta del tentativo di affossare la legge e i regolamenti comunali e, contemporaneamente, far avanzare una nuova stagione di diritti anche in campo sanitario e ambientale contro la pretesa delle imprese di essere libere di inquinare (magari, dopo, approfittando delle sanatorie e dei condoni).

La domanda se il referendum alla fine non rischia di favorire la proprietà privata dei terreni è più insidiosa in quanto tenta di aprire con i promotori una polemica, per così dire, "da sinistra". Anche qui, però, la questione può essere chiarita facilmente: l’imposizione di nuovi elettrodotti non risponde più all’esigenza di elettrificazione del Paese mentre favorisce il processo di deregolamentazione determinato dalla privatizzazione del settore energetico. In pratica, oggi si tratta di garantire gli allacci alle centinaia di centrali private che con la liberalizzazione vogliono essere imposte contro la volontà degli abitanti dei territori. La stessa cosa accade per l’alta velocità. Si tocca, in tal modo, un nodo di fondo della selvaggia politica liberista delle destre: la privatizzazione dell’opera pubblica, il tentativo, cioè, attraverso i processi di privatizzazione e di deregolazione del governo del territorio, di utilizzare le norme pubbliche flettendole agli interessi privati delle imprese. Quindi, lo strumento referendario è utile alle associazioni e ai comitati per combattere quelle opere devastanti e può consentire di affrontare uno degli aspetti più pesanti che caratterizza il governo delle destre. Ma, con il referendum, si affronta un altro nodo di fondo: la critica alle politiche di liberalizzazione. Facciamo un solo esempio, per far comprendere come, nel caso dell’elettrosmog, si sia scelto un meccanismo di liberalizzazione assolutamente selvaggia. Se si parla di liberalizzare il servizio ferroviario, nessuno è così folle da ritenere che più concessionari del servizio costruiscano proprie reti ferroviarie, si pensa che più concessionari possano utilizzare la medesima rete (quindi, che sugli stessi binari possano passare treni di differenti proprietari). Ugualmente, poteva essere pensato per le antenne di radiotrasmissione: separare la proprietà delle infrastrutture (mantenendola pubblica) dal servizio (svolto da più concessionari in concorrenza). Aver permesso che a ogni concessionario corrispondesse una propria struttura di rete, porta alla moltiplicazione infinita di antenne e ripetitori che assediano le città, creano un impatto paesaggistico intollerabile e producono gravi preoccupazioni per i cittadini.

Il referendum sull’elettrosmog è, quindi, anche un’occasione per discutere del modello di sviluppo e delle scelte sciagurate imposte dalla politica di sfrenato liberismo.

I sostenitori del SÌ sostengono che questa opzione vada scelta:

- per impedire la costruzione di elettrodotti che non rispettino i criteri i tutela della salute e dell’ambiente;

- per impedire che il governo vanifichi la nomativa contro l’elettrosmog e sottragga ai Comuni e alle Regioni i poteri di regolamentazione e controllo in materia di installazioni che provocano elettrosmog.