LE RAGIONI PER VOTARE NO

PERCHÉ VOTARE NO

Le ragioni del SÌ al referendum tendono a vertere su supposte ragioni di tutela ambientale e sanitaria, nonché di tutela della proprietà privata.

Esaminiamo l’ultimo degli aspetti di cui sopra, evidenziando come per la proprietà esistano solo effetti negativi in caso di vittoria del SÌ; in linea teorica tale vittoria potrebbe determinare la creazione di un vantaggio per i soli proprietari dei fondi interessati dal passaggio degli elettrodotti, che potrebbero farsi pagare a caro prezzo la cessione delle aree, mentre comunque, le nuove installazioni potrebbero essere rese possibili attraverso la procedura di dichiarazione di pubblica utilità delle opere, con conseguente esproprio , come peraltro inequivocabilmente precisato nella stessa sentenza di ammissione del quesito referendario della Corte Costituzionale. L’esproprio è una procedura fortemente penalizzante per la proprietà, e questa possibilità spiega perché le società che distribuiscono energia elettrica non si mobilitano affatto per il NO al referendum.

Quindi gli elettrodotti, in un modo o nell’altro, verrebbero comunque installati, e a farne le spese sarebbero, oltre ai proprietari eventualmente espropriati, anche gli utenti in zone scarsamente abitate, per servire le quali l’installazione di un elettrodotto tramite esproprio sarebbe assai improbabile, data la difficoltà di dimostrare la pubblica utilità.

Senza contare che non è da escludere un aumento dei costi della distribuzione della corrente elettrica, a seguito della vittoria del SI’, già tra i più alti del mondo in Italia.

A proposito invece degli effetti di tutela sanitaria e del principio di precauzione, va osservato che il merito del quesito referendario non riguarda le norme che regolano la salvaguardia della salute (limite alle esposizioni, standard di sicurezza ecc.), ma la possibilità di rifiutare il passaggio di un elettrodotto in un proprio fondo (si chiede l’abrogazione dell’art.1056 del codice civile che stabilisce l’obbligo per i proprietari dei fondi a dare passaggio agli elettrodotti). Tecnicamente è dunque improprio definire questo referendum come un "referendum sull’elettrosmog". Esso, come abbiamo visto, riguarda solo alcune procedure relative alla costruzione di nuovi elettrodotti. Non riguarda né elettrodotti esistenti (anzi, uno degli effetti indesiderati potrebbe essere quello di rendere più onerosi e quindi più difficili gli interventi di risanamento) né tutte le altre categorie di impianti che generano campi elettromagnetici, quali ad esempio le antenne per la telefonia mobile ed i ripetitori radiotelevisivi.

Il referendum pertanto non incide sulla legislazione vigente in materia di inquinamento elettromagnetico, né per quanto riguarda la tutela dell’ambiente né per quanto riguarda la tutela della salute.

Inoltre l’esito positivo del referendum andrebbe ad esclusivo vantaggio dei proprietari di fondi interessati dal passaggio degli elettrodotti che potrebbero rifiutare il permesso all’installazione dei piloni o agli scavi per il passaggio sotterraneo. Le comunità circostanti (abitazioni vicine, edifici di pubblica utilità, altri fondi) pur subendo gli eventuali medesimi effetti dei campi elettromagnetici non acquisirebbero alcun potere rispetto alla situazione attuale e non potrebbero ricorrere in alcun modo contro la decisione (positiva o negativa) del proprietario del fondo interessato.

La campagna referendaria e gli argomenti agitati in suo favore non indicano alcuna soluzione concreta ai problemi denunciati ma tendono anche a creare allarme in modo sproporzionato. Si tende a far credere che l’esposizione ai campi elettromagnetici sia il più grave rischio sanitario ed ambientale a cui i cittadini sono esposti anche nei casi e nelle zone dove non esiste il minimo sospetto di possibili effetti. Se una simile campagna dovesse avere successo, l’allarme generalizzato indurrebbe le istituzioni ad investire in modo prioritario in costosissimi interventi generalizzati sottraendo risorse a casi specifici e documentati e a problemi generali ben più gravi ed urgenti (inquinamento atmosferico, degrado territoriale, gestione e qualità delle acque, rifiuti, ecc.).